ALLA SCOPERTA DEL SILENZIO FRA LE VILLE SEGRETE DI NOVENTA
di Leone Comini
Da “Il Gazzettino” A. 66 n. 132, 5 giugno 1952
“Quando siamo rimasti soli nella vasta piazza deserta di Ponte di Brenta, Zanutto ed io ci siamo guardati negli occhi con una vaga punta di sgomento. Dunque incominciava davvero l’avventura. Eravamo proprio soli, non c’era anima viva nel chiaro mattino primaverile.
Anche l’ultima eco del ronzio morbido della corriera che ci aveva deposti in gran fretta sopra la strada si era spenta dietro lo svolto della strada per Padova. Il pizzo faunesco del pittore un po’ curvo sotto il peso dei colori e dei trespoli raccolti dentro un suo sacco di montagna, mi guardava da sotto in su; io facevo finta di niente muovendo un antico bastone che mi sarebbe servito contro gli eventuali cani randagi. I nostri abiti con le camice a scacchi, con le giacche a vento ci rappresentavano come più come fenomeni da circo che come viandanti i quali dovevano scoprire una sensazione dimenticata piuttosto che un itinerario d’altro canto bellissimo.
Infatti quando abbiamo cominciato col fermarci e con l’entrare a chiedere quale fosse la via per Noventa, il proprietario del caffè sull’angolo ci aveva mostrato una condiscendenza straordinariamente benevola. “Certamente”, aveva supposto, “andavamo per ville: ecco dunque dovevamo prendere una stradicciola che sgomitava nel fondo della piazza dall’altra parte”.
Avremo poco dopo incontrata una strada ghiaiata ed un cavalcavia, quello dell’autostrada; passato il quale ci sarebbe convenuto prendere subito a destra: il percorso ci avrebbe portati drittissimo a destinazione.”

“La piazza era sempre deserta. Ci pareva traversandola di cominciare qualcosa di magnanimo, di importante.

Noi facevamo – dico – un piccolo esperimento: quello di riprovare itinerari alla maniera più antica, percorrendoli a piedi.

Così comunque con bastoni e sacchi e scarpacce ci siamo messi per le vie del mondo e svoltato l’angolo abbiamo subito scoperto subito che Noventa è un paese-gramigna. Arrivava dappertutto, arrivava fin dentro le case di Ponte di Brenta: e lo dicono una tabella e una lapide al principio di una strada che a sinistra (Ponte di Brenta) si chiama Strada Podestarile e a destra (Noventa Padovana) ha il nome di via Valmarana.

La ghiaia si faceva sentire sotto le suole e le poche automobili lasciavano fastidiosissime scie di polvere. Subito dopo il preannunciato cavalcavia trovammo a destra la strada “Cappello” segnalata da un tabellone di marmo infisso dentro un sostegno di cemento armato: una dolce stradetta tutta svolte e fossati, orti e siepi e case ed anitre e biancheria sciorinata.”

“Antiche garbatissime costruzioni con il gusto dei timpani e dei cornicioni ritti sugli spioventi a nobilitarle; muri azzurati dagli spruzzi del solfato sopra le viti tirate a pergola; orti a giardino tutti colmi oltre che d’insalata e di salvie di rose e speranzette. Siamo entrati a Noventa senza nemmeno accorgercene. La stradicciola si è spalancata improvvisamente entro un prato fiorito segnato in mezzo da una tranquilla strada. Sui margini del prato erano muriccioli d’altri orti e folti alberi nascondenti altre ville segrete e la chiesa e il suo curiosissimo campanile. Ancora silenzio, ancora solitudine. Qualche grillo cantava da sotto i ranuncoli che punteggiavano di giallo la folta erba; due bambine passavano tenendosi per mano. Ci siamo fermati estatici e stanchi. Avevamo scoperto un paese felice, senza disturbi, senza rumori, di una pace che nemmeno a Venezia si riesce ad inventare più.”

“Di là del folto degli alberi stavano le ville. Non ci importava sapere di chi fossero, chi le possedesse e perchè. Siamo andati avanti come dietro uno di quei sogni dove non un movimento né un suono muovono l’atmosfera. Ogni cosa di Noventa mostrava un suo gusto, una sua gioia, una sua serenità strutturale altrove difficilmente comparabili e il farmacista e il droghiere e l’ufficio del Consorzio Agrario stavano dentro belle case vecchie. C’era un’osteria dove una zia e una nipote ci hanno promesso i preparativi d’un buon desinare e vino del luogo. C’era un manifesto ad una cantonata ancora rosso dopo le piogge dove c’era scritto di un ballo a Camin per la festa popolare del 1° maggio. Quà e la pendevano frasche diseccate, insegne di mescite padronali, anch’esse dentro vecchie nobili case, con i fiori e il giardinetto rampicante di rosmarino. Nel fondo di un ombrosissimo parco stavano olmi straordinariamente importanti; oltre un argine l’orizzonte era segnato dalla grigia struttura del ponte e del sostegno di Noventa sul Piovego.”
l Piovego è acqua del Bacchiglione, che viene per Padova da Vicenza, quindi non è acqua brentana. E quivi essa è trattenuta in un salto e le barche divellanti da Padova debbono aspettare – a valicare il sostegno – altre che salgano perchè il manovratore Marino Romagnolo ha l’ordine di aprire le porte e livellare il canale dentro la chiusa solamente quando vi siano degli incroci. A monte il capobarca Costantino Pordinazzo aveva buttato l’ancora del suo burchio lungo l’argine e stava ripulendo la coperta mentre attendeva pazientemente in un’altra barca; era di Limena. Anche la pazienza è un pedaggio: della navigazione. Oltre il canale dove la strada svolta sotto la frescura degli alberi fermentava vivissimo l’odore dei fiori di sambuco. Cascatelle d’acqua brillavano sotto il ponte accompagnando il canto di cento uccelli nascosti. E così intorno il silenzio pareva più vivo. Innanzi ancora l’argine lasciava la strada, anche divenendo, sulla solita targa di marmo la via “Panà” e mostrava, bassa contro il rilievo opposto, la bella villa delle Colonne, una volta gaudiosa contro il verde cupo del suo parco ora distrutto: ora fattasi calva sul piano monotono di una campagna marezzante di grano nuovo. Avevamo finalmente, in quella cornice di pura arcadia, riscoperto il silenzio. Zanutto, fermo sul ponte, disegnava come una dannato. Io, tutto solo, col mio vecchio bastone ascoltavo il canto sommesso delle prime rane di giugno, il canto dei primi grilli, il canto alto delle margherite così dritto contro il sole di mezzodì. L’avventura del viaggio all’antica incominciava in quel luogo.”
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